Serata Forsythe
Approximate Sonata
Creata nel 1996 per il balletto di Francoforte, Approximate Sonata, facevaparte originariamente del balletto Six Counter Points, opera in sei parti creata a più riprese a partire dall’ottobre 1995 (Festival d’Olanda) fino al gennaio 1996 (Francoforte) e presentata al teatro Chatelet nel maggio 1996.
Six Counter Points si presentano come dei « contrappunti », nel senso musicale del termine, dei « punti di vista », degli « studi » sulla danza classica, sul loro utilizzo contemporaneo e sui residui accademici.
Tornando a Approximate Sonata, questo balletto fu donato all’Opéra di Parigi insieme ad un altro, The vertiginous Thrill of Exactitude, con il titolo generico Two Ballets in the Manner of the late Twentieth Century.
La scenografia è scarna, sul palcoscenico vi è solamente un tripode che sostiene una gelatina blu sospesa nell’aria e che crea l’ombra della parola « sì » su una tela grigia. In questo contesto, quattro coppie si alternano in una serie di cinque pas des deux complessi e ricchi di virtuosismi.
Sulla musica elettronica e frammentata di Tom Willems, Approximate Sonata, esplora da un alto le « possibilità » del pas des deux, dall’altro interroga la nozione di perdita temporanea della memoria, resa in scena con l’abbassarsi graduale dell’intensità delle luci.
The Vertiginous Thrill of Exactitude
Il brivido vertiginoso dell’esattezza, per il brivido di fare un balletto su una musica di Schubert, per il brivido dei danzatori, quasi una sfida alla loro « formazione », per il brivido della rapidità e velocità.
William Forsythe © marzo 1999
Il titolo richiama un’espressione usata dal filosofo Roland Barthes e costituisce il secondo pezzo del balletto Two Ballets in the Manner of the late Twentieth Century.
Fu creato il 20 gennaio 1996 per il Balletto di Francoforte all’Opera di Francoforte ed è entrato nel repertorio dell’Opera di Parigi il 31 marzo 1999.
Questo balletto può sembrare una parodia ma non lo è, è piuttosto un gioco con tutte le carte in regola , che non cede mai e non abbandona il piacere del « divertissement »; è come se Forsythe guardasse a distanza con uno sguardo per metà ironico, per metà delicato e riflettesse sull’eredità dell’opera di Balanchine.
E quest’aria anche un pò spensierata, è accentuata anche dai costumi di Stephen Galloway, dei tutù rigidi, quasi delle corolle dai colori sgargianti.
In questo balletto, il coreografo americano incrocia tra loro parecchi stili coreografici del passato; ce ne sono almeno quattro, molto precisi, che si possono riconoscere dalle differenti gestualità usate nella coreogtrafia.
Per Forsythe, il fatto che abbia chiamato questo balletto Two Ballets in the Manner of the late Twentieth Century significa che non esiste per lui alcun limite per la creazione di uno stile specifico.
« Si fanno proprie le cose, non mescolo tutti gli stili! Non è un pout-pourri! ». Se utilizzo per esempio un certo epaulement che si evolve all’interno di un passo secondo un certo modo, questo sarà differente se mi rifaccio a Cecchetti o alla scuola francese piuttosto che a Bournonville o alla scuola italiana o russo americana. afferma lo stesso coreografo. Bisogna sempre essere coscienti del materiale su cui si lavora ed essere capaci di plasmarlo in una certa misura. » (W. Forsythe, LeFigaro, giugno 1988)
Artifact Suite
Questo terzo brano della serata creato dallo Scottish Ballet nel settembre scorso, è una nuova versione di Artifact, nato nel 1984.
Quasi per seguire le parole di Paul Valery che diceva: » un poema non è mai finito, semplicemente lo si abbandona », Forsythe rielabora qui i materiali del precedente spettacolo, cercando di farli interagire per ottenere un nuovo risultato differente rispetto al loro utilizzo precedente.
E’senza dubbio il suo balletto più emblematico, quello in cui vengono rappresentate le teorie sulle illusioni della percezione (qui nasce il motto: « Benvenuti a ciò che credete »), ove mette in atto la decostruzione, le rotture, e qui la danza è veramente spinta al di là dei suoi confini.
Per descrivere il suo approccio a Artifact, il coreografo americano si rifà a Rudolf Laban: » Ciò che ho cominciato a fare è d’immaginare certe posizioni del balletto e di muovermi sulla base di questo modello, orientando i corpi verso i punti esteriori (croisé, effacé), ma stessa importanza viene ugualmente data a ciascun singolo punto, movimenti non lineari possono essere integrati tra loro e le differenti parti del corpo possono muoversi verso questi punti a velocità differenti nel tempo.
Rifacendosi alla danza classica, Forsythe spinge al massimo le rotture degli equilibri, le proiezioni del bacino in avanti, la super velocità nell’intepretazione. Getta via tutti gli stereotipi esistenti da secoli nel balletto per ricomporre un nuovo vocabolario che utilizza lo spazio alla maniera di Cunningham, senza centri, suddiviso da frammenti di tende, da raggi luminosi che fanno sparire e deformare i danzatori.
Sulla Chaconne di Bach, prendono vita in alternanza dei magnifici pas des deux, veri e propri concatenamenti di corpi. Traspare in tutto ciò il sentimento di una danza che quasi si sottrae e rifugge sé medesima. Il vocabolario d’Artifact è sevito come base a Forsythe per formulare una serie di riflessioni sull’arte, la civilizzazione, i limiti del balletto e dell’illusione teatrale.