La psicologia del Lago dei Cigni di Nureyev
Interrogarci sul senso e sull’attualità di un balletto come il Lago dei Cigni potrebbe a molti sembrare superfluo soprattutto per due motivi. Il primo è legato sicuramente all’interpretazione che di solito si è dato di questo balletto. Infatti lo si è sempre considerato il classico dei classici, se ne è vista la storia solo considerandone i suoi lati fantastici, di leggenda, quasi alla stregua di una fiaba in cui dei cigni sotto l’incantesimo di un mago riassumevano le sembianze umane al calare delle ombre. Secondo motivo è legato al fatto che sin dalle prime versioni di questo balletto suddiviso in quattro atti ad opera dei maestri Marius Petipa (II e IV atto, gli atti « bianchi ») e Lev Ivanov (I e III atto), si è posta l’attenzione sugli aspetti più tecnici e virtuosistici della coreografia. Ripercorrendo infatti l’intera coreografia, spiccano gli ensemble danzati del I e III atto (danze napoletane, russe e spagnole) ambientati tra le sale del palazzo reale dove si sono organizzati i festeggiamenti che si sarebbero dovuti concludere con il fidanzamento del principe, così come negli atti « bianchi » prevalgono i pas des deux tra Odille, la principessa trasformata in cigno, e il Principe. Ebbene con questi presupposti sembrerebbe essere lontana e vana la ricerca di un senso e di un significato che ci facciano rivivere oggi con la sensibilità contemporanea una storia che apparentemente ha solo del fantastico e leggendario. Il merito per avere trasformato l’allure di questo balletto in modo da renderlo più interessante ai nostri occhi va senz’altro attribuito a Rudolf Nureyev. Sulle qualità di danzatore non si discute, ma anche come coreografo la sua opera è stata senz’altro al di là di ogni misura. Per il suo Lago ha messo in atto un’operazione veramente straordinaria. Quali siano le peculiarità, ecco dunque andremo ad esaminarle. Innanzitutto l’intera storia nasconde in materia molto sottile e ripercorre forse a mio avviso, i moti interiori dell’animo del grande maestro russo. Questo è evidente sin dall’inizio. Infatti il primo atto si apre con il Principe Siegfid addormentato su una poltrona che vede in sogno una principessa. Costei viene catturata da una creatura dalle sembianze gigantesche e maligne che, avvighiandola tra le bracce e tra due ali, simbolo dell’incantesimo che oramai è in atto, porta via con sé la fanciulla. Da quel momento in poi è come se Siegfrid rimanesse legato e fosse anche lui rapito da quel sogno, che lo fa apparire distratto, disinteressato a ciò che succede intorno a lui. Altra figura di spicco che appare nel I atto è quella del precettore. Questa potrebbe rappresentare una chiara allusione al lato sessuale di Nureyev, un segnale dunque che richiama il carattere di omosessualità che lo contraddistingueva. Emblematico è infatti un pas des deux che i due ballano nel primo atto: è il precettore infatti che si impone e cerca di allontanare il principe dal sogno della pincipessa coinvolgendolo a ballare con lui. Potremmo immaginare quindi e pensare ad un Rudolf Nureyev in realtà in lotta con il suo stesso essere uomo e quindi con la sua sensibilità ed attrazione verso l’altro sesso. Odette potrebbe rappresentare il suo anelito superiore, probabilmente quella creatura spirituale, che da sempre ricercava e cui lui aspirava. Una lotta questa tra due sentimenti così forti che dentro di lui erano vivi e che senza ombra di dubbio marcavano la sua personalità. A conferma di ciò, ricordiamo anche il passo a tre del IV atto che vede protagonisti Siegrfid, Odette e il mago/precettore, un momento reale e fortemente vissuto in scena per la sua drammaticità e tensione nell’esecuzione dei movimenti, che mette in piena luce e senza esitazione la volontà del Principe di sconfiggere il mago Rothbarth, simbolo del maligno o forse di quel qualcosa che di lui stesso non approvava e di cui voleva disfarsene. Ma non bisogna dimenticare di ricordare la liricità dei pas des deux soprattuto nel II atto con Odette, momenti di vera e propria tenerezza tra due amanti, in cui entrambi sono avvinti da stupore e dolcezza reciproci e in cui soprattutto emerge in tutta la sua fragilità e sensualità la figura femminile impersonificata dal Cigno, che d’altro canto non può realizzarsi a pieno perché conosce sino in fondo l’incantesimo cui è legata. Un destino tragico infatti lega i due protagonisti: entrambi infatti non potranno mai vivere il loro sogno dato che l’incantesimo si sarebbe potuto rompere solo grazie al vero Amore di un uomo verso colei che era vittima dell’incantesimo e il Principe dal canto suo perderà la sua battaglia, vittima dell’inganno. Ricordiamo infatti, che nel III atto durante la fase dei festeggiamenti appare e viene presentata al Principe una fanciulla dalle sembianze di Odette ma che in realtà è la figlia del mago. Siegrfrid pensando fosse il Cigno al quale aveva donato il suo cuore decide di fidanzarsi con lei. L’inganno è così svelato e il Principe insieme alla Regina madre non possono che soccombere nel dolore. Nulla può la corsa e lo slancio impetuosi del IV atto alla ricerca della sua amata tra la schiera degli altri cigni a sovvertire il finale della storia. Un elemento senz’altro fondamentale che sa caricare ulteriormente il pathos del balletto va riconosciuto nella musica di Tcaikosvky che accompagna e mette in rilevo i momenti più intensi del balletto lungo tutto il suo sviluppo, ora con il ritmo dei meravigliosi valzer, ora con la prevalenza degli archi, oppure con gli assoli dei fiati o con le note dell’arpa nei momenti più delicati e dolci. L’étoiles dell’Opéra di Parigi che in questi giorni mette in scena questo allestimento hanno brillato per la loro interpretazione, un pò meno tra loro forse Agnès Letestu apparsa un pò fredda e incapace di creare le giuste differenze di colore nell’interpretazione dei due ruoli di Odette/Odille. Aurélie Dupont affiancata da Manuel Legris emerge soprattutto nel II e IV atto ove, aiutata forse anche dalle caratteristiche della sua personalità, riesce ad infondere quella dolcezza e fragilità richieste per il ruolo di Odette. In certi movimenti della testa in cui manifesta le sue esitazioni e il suo temporaneo spavento all’apparizione del principe potrebbe ricordare addirittura la grande Margot Fonteyn. Marie Agnès Gillot è un’Odille perfetta, così come la si vede anche imporsi, sicura di sé, nei trentadue fouettes del III atto. Altrettanto intensa la sua interpretazione nel finale a fianco di uno straordinario Nicolas Le Riche, sovrano di questo balletto in tutti i sensi. Sin dalle prime battute si cala benissimo nel personaggio, lasciando trasparire le insicurezze, i sogni, i moti dell’animo e infine la sconfitta di Siegfrid. Come non sottolineare da un punto di vista tecnico l’armonia e fluidità nei suoi port de bras, la sua tenera attenzione nei pas des deux del II atto e lo slancio vano della sua corsa alla ricerca della sua Odette nel finale. Uno spettacolo dunque ricco di contenuti che meriterebbe proprio di essere visto, dopo che talvolta la danza contemporanea ha messo oggi in atto operazioni coreografiche artificiose e talvolta prive di senso.