AIR
« Non si deve sottovalutare il futuro, potrebbe rivelarsi un luogo pieno di gioia. O chi non potrebbe godere di questa gioia sconosciuta? Potrebbe mettere alla prova la nostra pazienza, il nostro fervore, la nostra sensibilità. Noi possiamo cominciare e ricominciaire. Questo processo crea delle stratificazioni, le une dopo le altre. Il corpo rimane in silenzio. La respirazione si sviluppa tra libertà e costrizione. Poco a poco il corpo, silenzioso, si progetta in avanti e questo movimento crea il tempo e lo spazio. Qui si trova ciò che deve costituire la struttura. Ecco qua il punto centrale di AIR. Un punto di nascita. E’ l’origine ma anche la destinazione. Ma non è la fine. La nostra destinazione è ugualmente l’inizio, la strada verso il punto di partenza, una via creata dall’aria. Cominciare col respirare e liberare lo spazio. (S.Teshigawara, 2003)
La sintesi della poetica della pièce AIR del coreografo giapponese è tutta improntata sulla creazione di una gestualità dinamica, oscillante e aerea attraverso la quale si esplorano nuovi percorsi per disegnare dimensioni spaziali grazie ad un utilizzo libero e spontaneo dei movimenti del corpo. L’intera coreografia è composta da quattro scene su altrettanti pezzi di musica tra i più antichi e melodici di Johnn Cage, che fungono da asse trainante entrando quasi in simbiosi con la respirazione: Four Walls, datato 1944, un anno tormentato per il musicista che è alla ricerca di un equilibrio nell’estasi contemplativa; In a Landscape (1948), ove prosegue questo genere di percorso artistico attraverso scelte musicali austere o che richiamano certe sonorità di Satie, che si confermano poi anche nel terzo pezzo Dream, dello stesso anno. Il quarto brano è One, del 1990, scritto due anni prima della sua scomparsa. E torniamo al balletto. La respirazione è la funzione più importante della danza. Respirare, espirare è apparentemente semplice. Ma le vere sensazioni sono fragili e il controllo del corpo si ottiene in modo complesso. Ciò produce diverse qualità nel movimento. Quando il coreografo lavora sul corpo, lo fa facendo riferimento anche all’aria che lo circonda, sostanza fisica. Per quanto concerne la gravità, l’aria è l’elemento fondamentale capace di sostenere la pesantezza del corpo. Si muove con lui. E’ l’elemento visibile che reagisce al più piccolo gesto. Ciò che crea e dà l’impulso al movimento, ciò che agisce per lui, controllandosi a vicenda. Queste questioni che riguardano il corpo e l’aria sono di grande ricchezza. Quando si comincia a studiare e conoscere le loro relazioni si possono creare differenti dinamismi il cui potenziale è enorme e che rischiavano prima di rimanere inesplorati. E’ a partire da questa nuova consapevolezza del corpo che riesce a nuove tipologie di dinamismi, proprio attraverso un uso più cosciente della respirazione. Il danzatore per calarsi fino in fondo in ciò che il coreografo richiede loro, deve in un certo senso riappropriarsi degli schemi corporei e delle sensazioni fisiche che aveva quand’era bambino per poter riuscire ad esprimere e raggiungere il massimo grado di fluidità e continuità in ogni gesto compie. Nulla vi è di codificato; un lento bilanciamento che parte da un centro flessibile del corpo accompagna l’ondulazione delle braccia dei ballerini che come ali diventano simbolo e creatrici dell’aria, del soffio, così come quella delle gambe creando nuove posture dei corpi. Nel secondo quadro appare via via un certo contrasto nell’esecuzione dei movimenti: alla sensazione di continuità e fluidità nelle articolazionni gestuali, si affiancano ampie acceleraizoni. Fasi alternanti di velocità e lentezza si succedono sulla scena e restano poi sino alla fine, diventando i cardini intorno ai quali ruota tutto il discorso coreografico: il sentimento di serenità che emerge dai gesti fluidi, senza rotture e contrasti si incrocia con delle accelerazioni improvvise, quasi dei tagli netti, che consentono al coreografo di testare la realtà della durata, di rappresentare il presente in modi differenti.