Balanchine e Trisha Brown all »Opéra Garnier di Parigi
Nelle Lettres paradoxales sur la musique il critico di danza Jean D »Udine considerava la musica come un movimento sonoro che permette di dividere lo spazio e il tempo, una sorta di mathématique émotionelle che si sviluppa a partire dalle impressioni acustiche che colpiscono le facoltà sensitive dell »uomo.
E successivamente, in un altra sua opera, L’art et le geste del 1910 afferma: « La danse naît de la musique; mais la musique, nous l »avons vu; est d »abord née de la danse; elles s »engendrent continuellement l »une l »autre, par un phénomène de génération alternante, dont nous avons dejà perçu quelques effets, qu »il nous faut étudier de plus près encore ».
Da entrambe queste due citazioni appare come stretto sia il legame tra musica e danza, un binomio in cui le due arti si creano e s’influenzano a vicenda (phénomène de génération alternante).
Un esempio più concreto del contenuto di queste idee non ci può essere dato che dall’unione artistica di Balanchine e Strawinsky, artisti eccezionali ciascuno nel proprio campo artistico, ma impensabili talvolta anche singolarmente, soprattutto perché insieme sono stati i creatori di alcune pietre miliari della storia del balletto moderno.
Fu proprio con Apollon Musagéte nel 1928 che i due iniziarono la loro collaborazione artistica che durò fino alla morte di Strawinsky nel 1971. Cinquant’anni circa di perfetta intesa artistica nei quali videro la luce i balletti Jeu de Cartes (1937), Orpheus (1948), ma anche riletture di opere come Le Baiser de la fée (1937), Renard ( 1947), L’Oiseau de feu (1949). L’elemento che più potrebbe sorprendere pensando a questa coppia è pensare come entrambi – con le rispettive arti – si siano messi l’uno a servizio dell’altro, a tal punto da scambiarsi i ruoli e divenire dunque Strawinsky il coreografo e Balanchine il musicista.
Apollon Musagéte è ispirato al mondo ellenico e alla mitologia greca, argomenti molto « alla moda » negli anni a cavallo delle due guerre mondiali . Il soggetto fa riferimento alla consacrazione da parte del dio Apollo della bellezza serena e luminosa di Calliope (musa della poesia), Polymnie (musa del teatro) e Tersicore (musa della danza), ma per il compositore russo questi è anche un tentativo per creare un’opera che rievochi attraverso le analogie musicali e sonore l’atmosfera di purezza del « ballet blanc » del XIX sec. La scelta per una musica in cui prevalevano tonalità diatoniche gli sembrò la più appropriata proprio per la sua sobrietà e inoltre Strawinsky per ottenere dei suoni più « puliti », operò una netta separazione dei gruppi musicali all’interno dell’orchestra : gruppi interi di archi, di percussioni, di legni per eliminare le disomogenità date dai differenti strumenti. Alcuni passaggi ritmici rievocano e ci riportano all’orecchio alcuni passaggi di Delibes e Cajkosvky e ciò a conferma del desiderio di unire Apollon Musagéte alla tradizione del « ballet blanc ».
Due sono principalmente le tipologie di relazione esistenti tra la musica e la danza sulle quali Balanchine e Strawinsky incentrarono il loro lavoro:
– il ruolo della danza è quello di riempire lo spazio sonoro costruito dalla musica, non di coprirlo. Infatti la struttura musicale è una forma di architettura sonora;
– la danza è il giusto corrispondente visuale e cinetico della musica; non deve mascherarla anzi sottolinearla;
Di conseguenza il rapporto tra le due sarà piuttosto simile al genere musicale del contrappunto, figura che bene esprime il senso di sovrapposizione simultanea del linguaggio musicale e coreografico.
Se, come si diceva, Apollon è l’origine del rapporto artistico tra Balanchine e Strawinsky, il balletto costituisce per il coreogafo russo (il vero cognome di Balanchine è Balanchivadze, dato che era nato a Sant Pietroburgo) una sorta di inversione di rotta.
Infatti come lui stesso afferma, « la partitura di Strawinsky, così ordinata, essenziale, nella sua unità di sentimento e di toni fu per me un rivelazione. Mi sembrava mi dicesse di non esagerare col mio vocabolario coreografico, mi esortava a eliminare anche me stesso ».
Un cammino verso un linguaggio coreografico puro che contava solamente sul perfetto accordo con l’elemento musicale. E lo stesso avvenne per l’altro pezzo, Agon, in programma nella serata dedicata al trittico di coreografi Balanchine/Brown/Forsythe dall’Opéra National di Parigi, un balletto creato per dodici danzatori nel 1950 nel corso di una tournée a Londra del New York City Ballet che Balanchine dirigeva e a cui lo stesso Strawinsky partecipò.
Nel rispetto del vocabolario classico, ogni membro dei corpi dei ballerini, gambe, braccia, testa diventano « impersonali », tracciano linee geometriche e si muovono in maniera perfetta e sincronizzata come fossero comandati da un metronomo. E’ l’inno alla danza pura, non c’è null’altro da ricercare.
Agon è un esempio perfetto di balletto di un incomparabile densità, complessità (come lo è d’altronde la partitura), qualità e perfezione formale in cui si alternano giochi di linee simmetriche e asimmetriche.
In entrambi i balletti, l’étoiles e i primi ballerini dell’Opéra National di Parigi sono stati veri protagonisti e hanno fatto rivivere ora l’atmosfera divina del Parnaso, dimora delle muse, ora la geometria e la precisione del mondo di Agon.
Perfetto Jean Guillaume Bart come Apollo. Verosimile era infatti la sua somiglianza con alcune figure dipinte sui vasi dell’arte greca.
Armoniose e sinuose le tre muse: Marie-Agnès Gillot grazie alla sua fisicità ha regalato linee che sembravano estendersi all’infinito, Emile Cozette e Stéphanie Romberg rispettivamente Calliope e Polymnie, quasi più timide ama altrettanto ineccepibile da un punto di vista tecnico.
Per Agon il merito va riconosciuto a tutti i danzatori, così come la forza di questo balletto è appunto data dalla capacità di far emergere da un’apparente disarmonia un perfetto equilibrio, in cui ciascun movimento è ben calibrato, misurato e ordinato matematicamente con i precedenti e i successivi, per ottenere infone una sintonia ricreata più su un piano logico che emozionale. Ricordiamo qui infatti nel primo passo a tre, Manuel Legris, Nathalie Riqué, Alice Renavand; nel secondo Aurélie Dupont, Jérémie Bélingard, Alessio Carbone e nel passo a due l’étoiles Agnès Letestu e Hervé Moreau.
Dopo due capolavori così il balletto di Trisha Brown Ozlozony/O composite non stride affatto, sembra anzi quasi una perfetta evoluzione del lavoro di Balanchine, soprattuto per quanto riguarda lo stile della composizione coreografica e guarda caso perché il colore prevalente è anche qui il bianco, senza però che nelle intenzioni del coreografo americano ci sia alcuna allusione al « ballet blanc ». Ma il bianco è un colore ricorrente nelle sue coreografie, vedi gli altri suoi balletti Line up, e Glacia Decoy.
In questo caso al bianco dei costumi dei danzatori si accompagna sullo sfondo della scena un cielo stellato che fa sfavillare i tre danzatori Aurélie Dupont, Manuel Legris e Nicolas Leriche, plastici e perfettamente sincronizzati nel ricreare coi loro corpi armoniose evoluzioni simile a quelle di un uccello. Ma il riferimento a quest’animale non è casuale.
Infatti è un poesia polacca di Czeslaw Milosz, Ode a un uccello, a ispirare la musica di Laurie Anderson, così come Trisha Brown si affida per la creazione del gesto coreografico al ritmo dei primi dieci versi del poema di Vincent Millay Renascence (1912) . Il susseguirsi delle consonanti a volte un pò dure della lingua polacca non si sarebbero ben accordate con l’idea coreografica cui aspirava Trisha Brown. Il testo del poeta americano è per Trisha Brown l’incontro con i paesaggi montani, di una foresta e del mare, gli stessi elementi paesagistici che avevano contraddistinto la sua infanzia. E sulle ventisei lettere con cui si apre la poesia, ALL I COULD SEE FROM WHERE I STOOD il coreografo crea per ciascun danzatore sei differenti « alfabeti coreutici », tre tipici della modern dance e gli altri presi dallo stile classico. Angolature, linee dritte e incrociate, movimenti circolari creano una danza fluida, continua, senza interruzioni, che regalano istante per istante magiche sculture scolpite dalla voce e dai versi O composite…