Successo per Cenerentola al Teatro alla Scala
Non poteva che suscitare un grande applauso da parte del pubblico, l’allestimento scaligero della Cenerentola di Nureyev, realizzato in collaborazione con l’Opéra National de Paris. Grande consenso da parte del pubblico, che è stato via via catturato dalla magia di una delle favole più celebri che riesce ancor oggi a conquistare anche agli adulti. Sebbene Nureyev abbia trasformato la struttura narrativa della favola, sostituendo il sogno del principe azzurro con quello di un contratto cinematografico, il fascino e l’atmosfera magica della versione originale rimangono intatte grazie anche naturalmente alla mano del coreografo che pur non creando un balletto tecnicamente ricco di virtuosismi o di sequenze di passi di difficile esecuzione, è riuscito ugualmente a infondere a tutto il balletto una grande armonia e eleganza nei movimenti. Inoltre, questa Cenerentola messa in scena per la prima volta all’Opéra Garnier di Parigi nel 1986 con la mitica Sylvie Guillem ad indossare gli « stracci » di Cenerentola, è forse l’unico balletto di Nureyev in cui la figura femminile della danzatrice riacquista in pieno la sua centralità. Infatti una caratteristica delle rivisitazioni del repertorio classico da parte del grande maestro russo riguarda proprio il ribaltamento del ruolo del primo ballerino, che a differenza della tradizione, non è più secondario rispetto a quello della sua partner. Marta Romagna in questo caso non ha deluso le aspettative a fianco di un elegante Massimo Murru, che si è distinto ancora una volta per la grande energia. Bene anche Gilda Gelati e Sophie Sarrote, vivaci e dinamiche, brave anche per aver saputo interpretare bene il carattere bisbetico delle due sorellastre. Inoltre il grande successo dello spettacolo in questi giorni sul palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano fino al 14 aprile , è anche legato alle scenografie molto ricche e al grande numero di artisti, circa novanta persone, coinvolte in scena. Insomma, una bella conferma del lavoro e impegno del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala che sta ritrovando anche al merito del suo direttore Frédérick Olivieri, il grande consenso e l’affetto del pubblico milanese dopo anni di scarso appeal.
La Cenerentola di Nureyev sembra, a prima vista, una versione modernista di una favola romantica ambientata in uno dei luoghi effimeri possibile. Si tratta della Hollywood degli Anni Trenta, ambiente in cui si coltiva il divismo più puro, quelli in cui il mito della fabbrica dei sogni raggiunge l’apogeo e dove si consuma il desiderio di celebrità di talenti grandi e piccoli. Cenerentola, tiranneggiata, come da tradizione, dalle tracotanti sorellastre che hanno appena ottenuto una piccola parte in un film, e dall’ingombrante matrigna, danza manifestando tutta la sua grazia tingendo di rosa il suo destino non più attraverso l’intervento di una fata, ma grazie all’intuito di un produttore cinematografico che vede il lei ciò che gli occhi di altri non avevano ancora saputo vedere. Così, Cenerentola, facendo tesoro di tutti gli insegnamenti del produttore, conquista non solo il ruolo da protagonista in un grande film ma anche il cuore del primo attore che, in scena, si innamora perdutamente di lei. Nella finzione hollywoodiana, tutto è straordinariamente grande: la magnifica scala da cui scende Cenerentola assediata dai fotografi, un incrocio tra l’art nouveau e le prospettive di Escher; le gigantesche gambe delle pin up che fanno da sfondo alle performance degli attori, i mastodontici ingranaggi dell’orologio meccanico, il grottesco King Kong. E tutto è scintillante: le luci di scena, le gonne di chiffon, le acconciature sofisticate. Ma, allo stesso tempo, questa grandiosità è attraversata da una penetrante vena di inquietudine e di insicurezza. Nella partitura di Prokof’ev – scritta durante la Seconda Guerra Mondiale – l’intento di omaggiare la composizione ballettistica classica di Tchajkovskij e Petipa, non riesce a celare il sentore profondo che da un momento all’altro tutto stia per precipitare: i lustrini, le luci, la messa in scena, la felicità incolpevole dei due attori protagonisti, e il complesso intreccio coreografico tiene lo spettatore in una stato di ipnotica attesa. Marta Romagna, incarna una Cenerentola puntuale e misurata, quasi inconsapevole del suo destino; Massimo Murru è un primo attore sobrio e introspettivo; il corpo di ballo dà una buona prova d’insieme cesellando una partitura coreografia elaborata ed impegnativa. Nella Cenerentola hollywoodiana è in scena la compagnia nella sua interezza e le potenzialità tecniche della nuova torre scenica rendono onore alla complessità scenografica del balletto. La genialità di Nureyev sta, innanzi tutto, nel aver creato una doppia dimensione del sogno: Cenerentola fugge dalla realtà della sua condizione per entrare in una dimensione che è anch’essa finzione. Si trova in un sogno che è doppiamente irreale: primo perché chiaramente non è la sua vita abituale, secondo perché è protagonista di una messa in scena cinematografica. Anche la storia d’amore con il primo attore paradossalmente, trova la sua verità nella finzione, non può essere vissuto ma solo essere recitato. Lo scoccare della mezzanotte ha un rintocco non solo favolistico ma anche esistenziale: non segna solo la fine dell’incantesimo, ma anche la conclusione della possibilità del sogno stesso. Questo è l’ammonimento: fuggire prima che non resti più tempo. Così, mentre il corpo di ballo scandisce le ore che scorrono personificandole in marionette impazzite, Cenerentola, saggiamente, scompare. Ma Nureyev, non cancella totalmente la favola, perché se è vero che « siamo fatti della stessa stoffa dei sogni », Cenerentola resta, come scrive Clement Crisp, » un balletto sul potere dei sogni romantici ». Perciò anche se, al chiudersi del sipario, resta la sensazione che Cenerentola e il suo Primo Attore potrebbero anche non vivere per sempre felici e contenti, sappiamo, altresì, che il potere del sogno tornerà prepotentemente, ogni volta nella nostra vita trascinandoci al di fuori della realtà.